lunedì 4 settembre 2017

Silenzio, parla il birraio

Chi meglio del birraio in persona può illustrare non solo il birrificio e le birre che vi vengono prodotte, ma anche la filosofia di lavoro che vi sta dietro? Per questo abbiamo raggiunto (telefonicamente, vabbè...si fa quel che si può) Rick LeVert, cofondatore insieme a Libby Carton di Kinnegar Brewery nonché proprietario e mastro birraio, per rivogergli alcune domande.

Rick, partiamo dal principio: quando e come è iniziata l'avventura di Kinnegar?
Abbiamo iniziato nel 2011, con un piccolo impianto pilota in cui facevamo ricerca e sviluppo. Solo nel 2013, dopo due anni di lavoro preparatorio, siamo partiti con la produzione; e da inizio 2017 ci siamo trasferiti in una nuova struttura, in vista dell'aumento della capacità produttiva: abbiamo chiuso il 2016 con 4 mila ettolitri, e per il 2017 contiamo di arrivare tra i 5 e i 6 mila.

Qual è la vostra "filosofia birraria"?
Mi piace dire che tutto è iniziato per curiosità, tanto è vero che i miei trascorsi professionali non sono nel settore birrario: ho fatto un po' di tutto nella vita, forse proprio in virtù di questa naturale curiosità. Poi è arrivata anche la formazione in campo brassicolo, sia negli Stati Uniti che alla VLB di Berlino: e proprio in Germania e poi in Irlanda, essendo io nato e cresciuto negli Usa, mi sono confrontato con le diverse influenze culturali nel settore birrario. E questo è stato determinante nel formare la maniera in cui pensiamo alla birra: non un qualcosa di statico, ma giocoso, un incontro di diverse tradizioni, stili e tecniche. Siamo l'unico birrificio che tra le produzioni fisse tiene la birra alla segale, abbiamo una porter al cocco, lavoriamo con i prodotturi locali per le birre alla frutta - in particolare uvaspina e rabarbaro: ecco, credo che questo spieghi cosa intendo per "approccio giocoso" alla produzione.

Avete sette birre fisse più una lunga serie di stagionali e speciali, di cui alcune che hanno ottenuto notevoli riconoscimenti a vari concorsi: ce n'è una in particolare che vi rappresenta?
No, credo che il punto di forza di ciò che facciamo stia nell'insieme. Per noi la cosa importante è che la qualità sia sempre alta in ogni birra che facciamo, al di là della naturale varialibilità insita nel processo artigianale: non uniformità, ma costanza. Vogliamo che chi beve possa riconoscere che le nostre sono birre ben fatte, anche se magari non incontrano i suoi gusti personali. Ed è una cosa che ci viene riconosciuta.

Per voi è la prima volta in Italia? E se sì, che cosa vi aspettate?
Sì, stiamo entrando ora nel mercato italiano, per quanto alcune delle nostre birre siano state servite a Milano in occasione di St. Patrick. Molti hanno il cliché secondo cui l'Italia è un Paese con una forte cultura del vino, ed è vero; ma noto che si è sviluppata anche una forte cultura birraria. Mi aspetto di parlare con la gente della birra irlandese, spiegare come lavoriamo, la nostra cultura; ma anche di scoprire che cosa si beve in Italia, conoscere birrai e appassionati italiani, conoscere la cultura birraria italiana e incontrare una nuova platea di interlocutori. Insomma, mi aspetto di muovermi in un contesto di cultura birraria internazionale, di scambio. Già ho avuto occasione di incontrare qui in Irlanda alcuni colleghi italiani, ed è stato un piacere: una delle cose belle del mondo birarrio è che ovunque tu vada trovi degli amici.

Che cosa significa per te essere un artigiano birraio e fare birra artigianale?
Non mi piace usare il termine "artigianale", perché onestamente non credo sia molto azzeccato. Preferisco definire Kinnergar un birrificio "indipendente", non "artigianale". Certo siamo parte di una lunga tradizione brassicola, ma abbiamo il nostro approccio a quest'arte. La parola "artigianale" rischia di far passare l'idea che non utilizziamo le nuove tecnologie: niente di più falso, il nostro è un birrificio moderno - per quanto stiamo sempre parlando di birre non filtrate, non pastorizzate, non carbonate artificialmente e prodotte su scala relativamente piccola. Non siamo due ragazzi con un tino di legno: se la tecnologia può aiutare sia noi che il consumatore, la utilizziamo. La cosa importante è rimanere indipendenti, conservare la propria identità, e far sì che questa definisca anche la relazione con i clienti: perché noi ci relazioniamo con chiunque beva la nostra birra, ovunque, non solo con chi vediamo di persona. Certo viviamo in un frangente storico in cui nascono tante etichette sia tra i piccoli che tra i grandi birrifici, e tra queste alcune che possono nascondere delle vere e proprie frodi in commercio; ma noi siamo fieri della nostra indipendenza e della relazione che abbiamo costruito con nostri clienti.

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